IL RISCHIO RUMORE IN ATTIVITÀ PRESSO TERZE PARTI

Il Decreto Legislativo 81/08, all’articolo 17, pone in capo al Datore di Lavoro la valutazione di tutti i rischi presenti nella propria realtà lavorativa e, tra questi, è incluso anche il rischio rumore (Titolo VIII – Capo 2).

Il primo passo per la valutazione del rischio rumore è effettuare una valutazione preliminare circa la presenza di tale rischio, considerando le possibili sorgenti di rumore presenti nell’attività, la loro frequenza di utilizzo, le modalità di esposizione, e più in generale tutti quegli elementi che possono influenzare il livello di rumore a cui sono esposti i lavoratori.

A valle di questa prima valutazione, sono previsti tre possibili casi all’interno del sopracitato Capo:

  1. Se vi è presenza di rischio, è necessario procedere a delle misure strumentali, come previsto al comma 1 dell’Articolo 190, che tengano conto del livello, del tipo e della durata dell’esposizione.
  2. In caso di accertata assenza di rischio, è possibile procedere ad una giustificazione secondo il comma 3 dell’Articolo 181, in cui il Datore di Lavoro attesta che la natura e l’entità del rischio sono tali da non rendere necessari ulteriori valutazioni.
  3. La terza possibilità prevista è quella di “Attività a livello di esposizione molto variabile”, definita come una “attività che comporta un’elevata fluttuazione dei livelli di esposizione personale dei lavoratori”: in questo caso la metodologia proposta è di considerare il “worst case scenario”, in modo da mettersi in condizioni di sicurezza e fornire le misure di prevenzione e protezione adatte dunque al caso più gravoso in termini di rumore.

La nostra esperienza però ci suggerisce che questi 3 scenari non racchiudono tutte le casistiche possibili: vi è infatti un’ulteriore possibilità, ossia quella di attività in cui il livello di rumore è, a priori, ignoto: è questo il caso, ad esempio, di attività svolte presso terze parti, in cui il rumore ambientale non può essere conosciuto “a priori” in fase di valutazione poiché dipendente dall’ambiente nel quale ci si verrà a trovare.

Questa casistica potrebbe rientrare in quella prevista al punto 3. della precedente lista, ma riteniamo come un approccio conservativo in questo caso possa non tutelare adeguatamente il lavoratore con riguardo allo scenario specifico.

La metodologia che proponiamo vuole dunque garantire una maggiore flessibilità, superando i limiti di un approccio puramente conservativo, e scaturisce da una semplice constatazione: il non conoscere, a priori, i livelli di esposizione a cui sono soggetti i lavoratori può essere dovuto, in molti casi, dal trovarsi a operare in ambienti diversi, ciascuno dei quali eventualmente caratterizzato da differenti livelli di rumorosità e per i quali potrebbero sussistere ulteriori rischi.

La gestione più idonea di tali situazioni si attua mediante redazione del D.U.V.R.I., come previsto dall’Articolo 26 dell’81/08.

Fra i rischi interferenziali, dunque, nel caso in cui l’ambiente presenti un livello di esposizione significativo, comparirà il rumore, e di conseguenza il Datore di Lavoro può desumere dal D.U.V.R.I. il livello di esposizione a cui saranno soggetti i suoi lavoratori, ed adottare le conseguenti misure di prevenzione e protezione più idonee al rischio effettivamente presente.

 

Per cui, in attività “normalmente” non esposte a livelli di rumore superiori ai “livelli di azione” previsti dal D. Lgs. 81/08 è ragionevolmente possibile redigere, da parte del Datore di Lavoro, una “giustificazione” di assenza del rischio rumore e rimandare ad eventuali specifiche valutazioni e adempimenti – da effettuarsi all’interno di D.U.V.R.I. – tutti quei casi in cui i propri lavoratori si dovessero trovare ad operare presso terzi ed in presenza di rischi non propri dell’attività originaria (ivi incluso il rumore).

Le eventuali misure di prevenzione e protezione (DPI, formazione, informazione, addestramento, …) previste nello specifico D.U.V.R.I. rientreranno nella voce dei costi della sicurezza e saranno solamente quelle effettivamente necessarie alle specifiche situazioni (a differenza dell’approccio generalistico derivante dal considerare i “worst cases”).

Con questa metodologia, possibile ovviamente solo nei casi sopra descritti, si riesce ad effettuare una valutazione che ha sia il vantaggio di essere specifica (e dunque adatta al singolo caso), sia quello di evitare gli sprechi che una soluzione sempre e comunque conservativa comporta: così facendo, si riesce ad ottimizzare di volta in volta il costo associato alle misure di prevenzione e protezione, senza però sacrificare nulla per ciò che riguarda il nostro primo obiettivo, ossia la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Ing. Di Sangro Stefano

Ing. De Santis Giovanni