LA GESTIONE DEI CONTENITORI DI SOSTANZE CHIMICHE IN AZIENDA
In praticamente ogni realtà produttiva si riscontra l’utilizzo di agenti chimici di diversa natura: dall’impiego di sostanze durante il ciclo di lavoro sino alla pulizia degli ambienti, trovare una realtà nella quale essi non vengano usati è quasi impossibile. La presenza di sostanze chimiche negli ambienti di lavoro fa sorgere ovviamente la questione della valutazione del rischio ad esse associato: a seconda delle diverse metodologie impiegate in fase di analisi vanno considerati fattori quali le caratteristiche intrinseche della sostanza, le modalità e i quantitativi di utilizzo, il tempo di esposizione, il personale esposto, i Dispositivi di Protezione Individuali utilizzati, la sorveglianza sanitaria, nonché la formazione, l’informazione e l’addestramento degli addetti.
Ma oltre a questi aspetti, i quali sono comunque fondamentali per una corretta valutazione del rischio, per avere un quadro completo della situazione è necessario anche valutare come poi tali sostanze siano effettivamente gestite, specie nella fase che va dal loro acquisto sino al loro impiego. Ad esempio, alcune domande che è giusto porsi: la sostanza viene acquistata dopo aver valutato la sua pericolosità in relazione ad altri prodotti simili sul mercato? Ci si assicura che al momento dell’acquisto la sostanza venga consegnata assieme alla relativa scheda di sicurezza? La scheda di sicurezza viene conservata e condivisa con i lavoratori che utilizzeranno poi la sostanza? Tutte queste domande, che devono sempre essere tenute a mente per una corretta gestione del rischio chimico, non esauriscono comunque le problematiche ad esso associate, e in queste righe approfondiamo proprio un caso che, in base alla nostra esperienza, è trasversale a molte diverse realtà.
Capita assai spesso che, in fase di acquisto delle diverse sostanze chimiche, vengano scelte le opzioni che consentano di risparmiare sul prezzo unitario: il quantitativo così acquistato risulta essere superiore, ma per prodotti utilizzati frequentemente e non soggetti a deperibilità, vi è un risparmio nel medio periodo, consentendo, oltre al ridurre come detto il prezzo unitario, anche di diminuire i costi necessari per effettuare ciascun ordine e di evitare eventuali fermi o altre problematiche legate all’assenza della sostanza, potendo sempre contare su una certa giacenza della stessa.
E la sicurezza? In questo discorso cosa centra? In genere, a questi lotti si associano anche contenitori di dimensioni superiori, i quali sono ovviamente invece meno pratici per il loro utilizzo in produzione. È il caso ad esempio dei solventi, che vengono spesso utilizzati in quantitativi nell’ordine dei millilitri ma che vengono venduti in confezioni che possono arrivare anche a 25 litri e oltre. Un operatore allora, che dovrà utilizzare in tutto il proprio turno un quantitativo assai inferiore, difficilmente accetterà di buon grado di portarsi dietro un contenitore più ingombrante e pesante delle sue effettive necessità. Ed ecco che si mette in atto una pratica molto pericolosa: il travaso delle sostanze chimiche.
I rischi associati al travaso di una sostanza chimica sono molteplici: in primis è chiaro che questa operazione espone il lavoratore alla sostanza chimica travasata, e quindi dovranno essere prese le precauzioni previste per la sua manipolazione (D.P.I., utilizzo di una vasca di raccolta nel caso in cui la sostanza sia infiammabile, areazione dell’ambiente, ecc.), ma c’è un altro aspetto fondamentale da considerare. I contenitori originali di una sostanza sono infatti corredati di un’etichettatura, i cui contenuti sono disciplinati dal Regolamento (CE) n. 1272/2008, spesso indicato anche con l’acronimo CLP (Classification, Labelling and Packaging).
L’obiettivo di questo regolamento è garantire che tutti i prodotti chimici commercializzati all’interno dell’Unione Europea siano forniti di un’apposita etichettatura che fornisca le principali informazioni in materia di salute e sicurezza relative alla sostanza stessa. Da un lato, quindi, questo regolamento impone la classificazione di tali sostanze (E in tal senso è complementare col Regolamento (CE) n. 1907/2006, spesso indicato col termine REACH), mentre dall’altro regolamenta anche la comunicazione dei pericoli ad esse associati, mediante l’utilizzo di pittogrammi e frasi che sono codificate dal Regolamento stesso.
Le principali informazioni che vengono riportate su un’etichetta di una sostanza chimica secondo il Regolamento CLP sono:
– Il nominativo dell’impresa che commercializza la sostanza;
– L’identificazione della sostanza contenuta, assieme al quantitativo nominale;
– I pittogrammi di pericolo associati alla sostanza;
– Le Frasi di Pericolo H e le Frasi di Prudenza P associate alla sostanza.
Come si può desumere, si tratta di informazioni fondamentali per una corretta gestione in sicurezza di tali sostanze chimiche. Il pericolo che sorge in seguito al travaso è proprio questo: la perdita delle informazioni riportate sull’etichettatura di una sostanza chimica, poiché spesso l’etichetta rimane sul contenitore originale, e su quello di destinazione, per negligenza o per dimenticanza, essa non viene mai riportata.
In realtà, i pericoli sono persino maggiori: il contenitore scelto è adatto a recepire la sostanza chimica travasata? Sussiste il rischio di mancanza di identificazione della sostanza? Riprendendo l’esempio precedente, molti solventi sono alla vista trasparenti, e travasandoli all’interno di bottigliette di plastica (un contenitore “perfetto” per dimensioni ed ergonomia, ma molto pericoloso proprio per il motivo che stiamo dicendo) si espongono gli addetti a un rischio elevato, quello di possibile confusione di una sostanza chimica pericolosa con invece della semplice acqua potabile.
Da un lato, quindi, abbiamo delle considerazioni di carattere economico, per le quali l’azienda cerca di ridurre i prezzi unitari delle sostanze che più spesso utilizza, mentre dall’altro vi è un problema di natura operativa che va ad inficiare sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori. Quali sono le possibili soluzioni? L’idea di un’etichetta “fatta in casa”, vale a dire riprodotta dall’azienda e poi posizionata sul contenitore di destinazione del travaso, è spesso poco applicabile: l’etichetta può non essere riprodotta fedelmente, la carta su cui è stampata può rovinarsi o staccarsi dal contenitore senza mai essere sostituita, e così via. Una soluzione a nostro modo di vedere più affidabile è la seguente: scegliere di ordinare dal fornitore, anche una sola volta, la sostanza chimica in contenitori di dimensioni minori, in modo che possano essere direttamente maneggiati dagli addetti durante la consueta operatività. Accettando così un prezzo unitario maggiore su un solo ordine, l’azienda si può rifornire di contenitori originali, i quali non solo sono pensati appositamente per contenere quella determinata sostanza, ma che riportano anche le corrette informazioni della stessa sulla loro etichetta, ed essendo comunque maneggevoli per l’operatore. Una volta che l’azienda si è rifornita di questi contenitori, può poi tornare a fare economia di scala, acquistando a prezzi unitari inferiori: a quel punto infatti potrà disporre di contenitori originali, nei quali travasare la sostanza chimica da quelli di dimensioni maggiori.
Non è certamente una soluzione complicata, ma è estremamente efficace: accettando una spesa leggermente superiore su un singolo ordine, infatti, l’azienda può eliminare un importante rischio trasversale a molti settori e a molte realtà. Ovviamente il travaso andrà sempre eseguito secondo determinate modalità (D.P.I., areazione, eventuali disposizioni del fornitore, ecc.), ma così facendo viene eliminato il pericolo di mancanza di identificazione della sostanza, con tutti i rischi che ne conseguono.
Un gesto semplice, economico ma estremamente funzionale, atto a risolvere un significativo problema di gestione: per una sicurezza fattibile, ma senza compromessi.
Ing. Giovanni De Santis