LA VALUTAZIONE DEI RISCHI DI MICROCLIMA ED ILLUMINAZIONE: UN APPROCCIO QUALITATIVO

Ai sensi dell’Articolo 17 del D. Lgs. 81/08 sta in capo al Datore di Lavoro la valutazione di TUTTI i rischi insiti nell’ambiente di lavoro: ciò implica che, oltre alle valutazioni relative alle attrezzature utilizzate, alle sostanze chimiche impiegate, ai processi realizzati in azienda, agli agenti fisici e così via, si rendono obbligatorie anche le valutazioni dei cosiddetti rischi trasversali, così chiamati poiché possono andare ad impattare sia sulla salute che sulla sicurezza del lavoratore: ad esempio, gli stessi agenti fisici rientrano in questa categoria, poiché oltre ad essere una potenziale causa di malattie professionali (si pensi al rumore e all’ipoacusia, alle vibrazioni corpo intero e alle patologie del rachide, e così via) vanno anche ad inficiare la qualità dell’ambiente di lavoro, rendendo più faticosa la concentrazione agli operatori che così vedono aumentare le possibilità che si verifichi un infortunio (o comunque una near-miss). Fra i rischi di questo tipo rientrano anche quelli di microclima ed illuminazione.

Innanzitutto è bene dire che le metodologie più diffuse per la valutazione di tali rischi prevedono una misurazione strumentale di questi parametri negli ambienti di lavoro. Nello specifico, le misure microclimatiche variano a seconda che i locali interessati siano soggetti o meno a dei vincoli per ciò che riguarda i principali parametri (temperatura, umidità, ventilazione, ecc.) che concorrono a definire il microclima stesso: ambienti come celle frigorifere, altiforni, ed altri simili, dove questi parametri sono legati intrinsecamente allo svolgimento delle attività produttive in essi collocati, si definiscono termicamente vincolati, e sono regolamentati da diverse norme tecniche assai specifiche (che fanno riferimento ciascuna a diversi parametri e a diversi aspetti dei locali), mentre laddove tali vincoli non esistano si parla di ambienti termicamente moderabili, e in essi in genere la valutazione del rischio si realizza mediante il calcolo strumentale di due parametri, il PVM, che predice il valor medio di valutazione di comfort microclimatico da parte di un gruppo di persone, e il PPM, che invece predice il numero di persone insoddisfatte da tale situazione microclimatica, in accordo con la norma ISO 7730. Per quanto riguarda l’illuminazione invece la norma di riferimento è la UNI EN 12464-1.

Tali valutazioni strumentali richiedono, ovviamente, dei costi significativi per il Datore di Lavoro, dovendo essere condotte da personale tecnicamente competente e con strumentazione adatta; inoltre capita spesso che vi sia una bassa percezione di tali rischi, essendo difficile stimare senza l’ausilio di dati oggettivi il grado di comfort microclimatico e visivo di un ambiente di lavoro. La metodologia da noi proposta, di carattere puramente qualitativo, ha proprio come scopo quello di fornire dei parametri che siano utili per valutare l’eventuale necessità o meno di effettuare delle valutazioni strumentali di tali rischi: piuttosto che affidarsi infatti a sensazioni puramente soggettive, abbiamo costruito una checklist in modo che, rispondendo a ciascun suo punto, si possa delineare una situazione più chiara in base alla quale poi poter valutare con maggior cognizione di causa se sia necessario approfondire la valutazione con misure strumentali o se sia sufficiente fermarsi a questo primo step qualitativo.

Non esistendo riferimenti normativi che si concentrino su un’analisi qualitativa di questi parametri, al fine di sviluppare una metodologia che facesse affidamento su riferimenti solidi abbiamo scelto di andare “direttamente alla fonte”, prendendo in considerazione ciò che è scritto sul Testo Unico: l’Allegato IV del D. Lgs. 81/08 è infatti interamente dedicato ai requisiti che i luoghi di lavoro devono possedere al fine di poter essere ritenuti adatti ad ospitare, appunto, attività lavorative. I paragrafi 1.9 ed 1.10 sono nello specifico dedicati interamente ai requisiti che gli ambienti di lavoro devono soddisfare in materia, rispettivamente, di microclima ed illuminazione: tali requisiti sono stati da noi considerati come elementi di una lista di controllo, alla quale rispondere, punto per punto, per stabilire se gli ambienti di lavoro oggetto della valutazione fossero conformi o meno. Ovviamente, in questa fase è significativamente critico il poter rispondere nella maniera più oggettiva possibile a tali domande: ciò presuppone la necessità di organizzare sopralluoghi specifici nei diversi ambienti di lavoro, raccogliere documentazione tecnica di sistemi ed apparecchiature (per controllo della temperatura, ricambio dell’aria, ecc.), ed includere quanti più lavoratori possibile, così da poter valutare uno scenario di situazioni quanto più ampio possibile. Rispondendo a ciascuna di queste domande si va delineando un quadro della situazione sia per quanto riguarda il microclima che l’illuminazione: a quel punto sta al Datore di Lavoro scegliere se procedere con una valutazione di livello più alto, basata su rilevazioni strumentali, o se lo scenario che evince permette di ritenere tali rischi accettabili.

È chiaro che una metodologia di questo tipo abbia comunque dei limiti: una prima importantissima considerazione da fare è che essa non è applicabile in ambiente termicamente vincolati, dove la necessità di garantire determinati valori dei parametri microclimatici impone una valutazione del rischio strumentale secondo le norme specifiche. Ancora, una valutazione quantitativa, vale a dire oggettiva, rappresenta sempre e comunque una maggior tutela per l’azienda: si pensi in particolar modo alla differenza che vi è fra l’asserire che in una generica stazione di lavoro si è ritenuta l’illuminazione sufficiente in base a una lista di controllo soggettiva e l’affermare invece che in quella postazione vi fosse un valore di lux misurato e conforme a quanto previsto dalla normativa.

In chiusura, questa metodologia non si vuole in alcun modo proporre come un’alternativa a una valutazione strumentale dei parametri di microclima e illuminazione negli ambienti di lavoro: un percorso basato su delle misure oggettive rimane sempre e comunque preferibile, infatti. Tuttavia, è chiaro che una metodologia di questo tipo, laddove applicabile, permetta quantomeno una prima valutazione del rischio: in base ai risultati delineati sta poi al Datore di Lavoro prendere la decisione se proseguire la valutazione ottenendo dati oggettivi o se ritenere il livello di rischio accettabile. Ad ogni modo si tratta di una scelta che a quel punto sarà fatta in maniera più consapevole e dedotta da analisi reali.

Ing. Giovanni De Santis